«L’immagine dei miei piedi che cercano di raggiungere il cielo chiude il cerchio. Diventa una sorta di compromesso in un dialogo che si muove tra varie tematiche.

Tutto parte da un albero puntato al cielo in una atmosfera inquietante, in cui mi ritrovo tra le macerie di storie e culture che non ci sono più ma che continuano a esistere nella memoria collettiva e nei monumenti, nei mosaici.
Accanto alle macerie, vi è una natura che è costretta a dialogare con spazi urbani, natura plasmata dall’uomo per rendere i nostri spazi più ospitali e più verdi.
Questa è una natura strutturata, soprattutto nelle foto di Giovanni, che si contrappone ad una natura selvaggia, a volte poetica, che invade lo spazio e se lo prende, che facilmente si autodistrugge.

Ma che deve per forza convivere con la mano dell’uomo, una mano a volte benevola, a volte crudele, che trasforma i luoghi in macerie. Una natura che invita l’uomo, nella sua piccolezza e solitudine, a godere di se stessa, nella contemplazione della sua bellezza grazie alle foto poetiche di Giovanni.

Ecco quindi che dal caos delle macerie si ricerca una dimensione più poetica, più spirituale, che guarda in alto ma che non viene raggiunta. Un tentativo, il mio, che è solamente un compromesso alle sfide che la vita ci propone».

E. G.

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