Da non perdere all’Armani Silos di via Bergognone, a Milano, fino al 29 luglio, la bellissima mostra Racconti immaginari, con foto e lavori di Paolo Ventura.
Già fotografo di moda e di pubblicità, Ventura negli anni 2000 ha inaugurato uno stile molto personale e potente di produzione e narrazione di cui la fotografia è solo uno dei momenti, che gli ha assicurato una specie di culto negli Usa e una notevole fama mondiale.
La mostra è strutturata in tre momenti, ognuno dei quali illustra uno specifico lavoro.
Nelle prime sale è esposto The Automaton, racconto struggente che si sviluppa attraverso una ventina di foto di grandi dimensioni che, con l’ausilio di cartelli didascalici, raccontano una vicenda ambientata durante la deportazione degli ebrei del ghetto di Venezia, il tutto realizzato con la tecnica del diorama (perfette messe in scena di ambienti ipperrealistici in miniatura ricostruiti in studio e modellini umani in scala, successivamente fotografati).
Con analoga tecnica sono prodotte le grandi foto del lavoro La città infinita che viene presentato nelle sale successive: ambienti urbani disadorni (fortissimi sono gli echi della pittura italiana del primo Novecento, da Carrà a de Chirico, e forse anche del primissimo Rinascimento) e minuscole presenze umane, il tutto ricostruito in studio con modelli in miniatura. Notevole la tecnica della dissociazione per rettangoli disomogenei per colore con cui le foto sono state elaborate, smontate e poi rimontate, a sottolineare ulteriormente l’elemento costruttivo, antirealistico di queste fotografie, tecnica che crea una sorta di distanza interna dall’atmosfera di agghiacciata malinconia che le pervade.
Infine, nelle ultime sale, ecco Short stories: qui la tecnica è diversa e spicca per semplicità costruttiva e compositiva: modelli umani – Ventura stesso, il piccolo figlio, la moglie, il fratello gemello – opportunamente travestiti in abiti di primo Novecento e ripresi in modo frontale, in un set costituito da un basso palcoscenico di assi di legno davanti a fondali dipinti a mano. Ma questo grado zero del ritratto è unito a una vera e propria esplosione di fantasia narrativa che si sprigiona in brevissimi storie, o meglio sketch, dal chiarissimo sapore ironico e stralunato, spesso con un retrogusto di humor nero.
Vi sono poi tre installazioni fotografiche sotto teca di plexiglas realizzate con una tecnica ancora diversa: foto a figura intera dell’autore travestito in vari modi, stampate in miniatura su cartoncino poi ritagliato e poste in equilibrio con piccoli supporti, in grandissimo numero, a simulare scene di massa come strane sculture fotografiche (il funerale di un anarchico, l’avanzata tragica dell’esercito napoleonico nella neve di Russia, una semplice scena di uomini a capo chino).
Infine tre foto in grande formato realizzate con una tecnica simile a quella de La città infinita: bagnanti dentro grandi campiture di azzurri di diverse tonalità ritagliate in rettangoli e poi riassemblate. Una reminescenza dei bagni misteriosi di de Chirico? Tra queste spicca un magnifico ritratto del figlio ritoccato a pennello (ritoccate le iridi degli occhi, le ciglia e dipinto un rivolo di sangue sotto il naso e sul petto).
Proiettato in una delle sale anche un breve film/intervista all’autore.
Da non perdere.
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