Triennale di Milano, giovedì 16 novembre, prima delle Lectio Magistralis organizzate dall’AFIP. Il titolo – The Cospiration of Images – campeggia sullo schermo come monito, scritta bianca su sfondo nero. Introduce il padrone di casa Mr. Fashion Giovanni Gastel; intervista Denis Curti (direttore della rivista il Fotografo, ma anche dei Tre Oci di Venezia).
Ospite e mattatore della serata: Joan Fontcuberta.

Presenza tranquilla, capelli e barba brizzolati, camicia grigia fuori dai calzoni, attende in piedi silenzioso l’inizio della serata. Sono le 19.00 la sala e gremita, presenti personaggi noti che girano intorno al mondo fotografico, scorgiamo Efrem Raimondi, Sara Munari (ma che bel taglio e colore di capelli).

Le immagini comunicano (pure troppo, si scoprirà) ma prima bisogna capire come parlare al pubblico. Joan Fontcuberta è catalano, parla il catalano (ma anche l’inglese e capisce un poco l’italiano). Denis Curti chiede al pubblico se preferisce il catalano (che si potrebbe capire) o l’inglese, il pubblico decide per il catalano, una signora in fianco a Fontcuberta sarà la traduttrice per la serata (è un’amica di Curti e si è gentilmente offerta). Compito non facile per la complessità e le sfumature dei concetti espressi. Il catalano non è come lo spagnolo però è sorprendentemente comprensibile, dopo dieci minuti di ascolto.

«Perché un fotografo che non fa fotografie?», domandano provocatoriamente a Fontcuberta i padroni di casa. La produzione fotografica di Joan Fontcuberta è uno specchio della realtà, uno specchio truccato quando la riflette e mentre la riflette la distorce. Come? E Perché?

Joan Fontcuberta (1955) studia a Barcellona Pubblicità-Arte e Semiotica. Durante la dittatura franchista la propaganda di regime si costruisce con le immagini creando un immaginario mistificato felice e benestante, ma chi vive dentro queste immagini sa che non è vero. Come possono delle immagini mentire quando riproducono la realtà? Le immagini allora non sono autentiche, cospirano contro di noi, e come fare per rompere questo incanto, per svelare questo processo?

La risposta di Fontcuberta affonda le radici storiche nel movimento DADA e nel surrealismo. Come i suoi mentori crea immaginando: compaiono allora sullo schermo le immagini di FAUNA. Un bestiario di animali immaginari, elefanti con le ali, strani pipistrelli, confezionati, studiati, sezionati con l’approfondimento e la documentazione del più serio etologo, tanto da far pensare che si tratti di nuove scoperte scientifiche. Ma esistono? (Certo che esistono, il Baretto li ha visti).

Scorrono sullo schermo poi le immagini di HERBARIUM (ispirato alla pubblicazione Urformen der Kunst – Las formas originales del arte, di Karl Blossfeldt). Questa volta sono piante e fiori l’oggetto della ricerca. Sempre più meticoloso nella realizzazione, nel produrre altisonanti nomi latini ad accompagnare le descrizioni scientifiche. Ritratti in bianco e nero di specie rare e preziose trovate in diverse parti del mondo. Object trouvée dunque, come scrive Fontcuberta: «Pseudoplants: small ephemeral assemblages constructed with industrial detritus, pieces of plastic, bones, plant and animal parts of a diverse sort, that I found wandering in the industrial outskirts of Barcelona». Quasi arte povera: trova materiali, li assembla creando forme misteriose e affascinanti. Dadaismo botanico l’approccio e il packaging è scientifico. Il messaggio decostruisce il processo di comunicazione fino a minarne il senso, trasformandolo in un WARNING.

L’apoteosi di questo processo creativo si raggiunge con la costruzione delle avventure del cosmonauta fantasma Ivan Istonichov (traduzione russa di Joan Fontcuberta). Membro della missione spaziale russa Soyuz2 del 1968, misteriosamente scomparso nello spazio, eliminato dalle fotografie dell’epoca dal regime, famiglia esiliata in Siberia. Nel 1997, con le prime versioni di Photoshop, Fontcuberta costruisce partendo da una vecchia fotografia la storia del cosmonauta Ivan, aggiungendolo alla fotografia d’epoca dei cosmonauti originali e dandogli il suo volto, primo passo del processo di falsificazione del reale. Il regime sovietico, specializzato nella depurazione iconica di soggetti non più in linea con il Partito, si trova coinvolto ora nel processo inverso, mantenendo però la stessa relazione tra realtà, finzione e mistificazione.
Il luogo in cui viene esposta questa ricerca è il museo, nel museo c’è la storia, il passato: e il passato non mente. L’articolazione dell’esposizione è ormai un modello consolidato che gira il mondo da vent’anni: SPUTNIK riprende meticolosamente gli standard dell’epoca in termini di ricostruzione della storia del cosmonauta da bambino, la laurea, il matrimonio, l’imbarco, il cane che si porterà nello spazio. La faccia è sempre quella di Fontcuberta.

Nelle presentazioni Fontcuberta si presenta come curatore (non come artista) accompagnato da due professori di letteratura russa, presentati come membri di una fantomatica associazione spaziale sovietica, per rendere ancora più credibile la farsa. L’equivoco funziona, la realtà esiste nella sua rappresentazione, comitati russi fanno causa una volta scoperto l’inganno, i media dei luoghi dove la mostra gira la pubblicizzano, salvo poi accorgersi della presa in giro. Un gruppo rock di Madrid si innamora del libro e produce un album sulla vicenda, salvo poi accorgersi, una volta pubblicato, del fake.

Sullo schermo ecco le immagini di un piano lunare, mentre Fontcuberta spiega che arrivano dalla cucina di casa (luci e farina) e di un asteroide minaccioso (una patata sospesa). La gente ride divertita, il Baretto è affascinato e preoccupato.

Infine c’è TRAUMA: la malattia delle immagini, uno degli ultimi progetti. Le immagini invecchiano, si ammalano, la rappresentazione si dissolve nel tempo, lascia segni sulle immagini, bubboni di memoria che trasformano il ricordo in materia: emozionante.

La sessione è finita, si accendono le luci: ci sono domande, chiede Gastel ?
No, anzi sì, una signora dietro di noi, piu milanese di un milanese, gallerista d’arte tornata il giorno stesso da un’asta d’arte a New York, chiede se conosce la storia di questo quadro falso di cui è stata testimone della vendita ad un prezzo spropositato.

Fontcuberta diplomaticamente risponde che non conosce, che era in giro, che il suo interesse ora è il mercato dell’arte contemporanea.  Il Baretto guarda la signora elegante, si gira verso Fontcuberta e sorride. È evidente: Ivan Istonichov strikes again!