Il sogno dell’uomo di conquistare lo spazio non riguardò solo le grandi potenze. Nel 1964, in pieno clima di corsa mondiale ai viaggi spaziali, anche la Repubblica dello Zambia, appena liberatasi dal giogo coloniale, cercò di organizzare una spedizione per portare il primo astronauta africano sulla luna. La missione era capitanata da un insegnante di scienze, eccentrico e sognatore, Edward Makuka Nkoloso, deciso a dimostrare che il suo Paese era importante come gli altri e che era in grado di portare avanti un proprio programma spaziale. Progettò un razzo in alluminio e un sistema di catapulta che testò nel Giorno dell’Indipendenza dello Zambia. Reclutò dieci uomini e una donna come equipaggio e organizzò un programma di esercitazione in un campo nei pressi di Lusaka. La formazione prevedeva lo studio delle stelle attraverso i telescopi e il rotolamento dalle colline in botti di petrolio per simulare gli effetti di assenza di gravità. Secondo le dichiarazioni di Nkoloso alla stampa, i primi astronauti a camminare sulla luna sarebbero stati una donna, due gatti e un missionario. Il programma, tuttavia, fallì presto e miseramente a causa della mancanza di finanziamenti e dell’imprevista gravidanza della ragazza.

La fotogiornalista di origini spagnole Cristina De Middel trae da questo folle progetto materia per un lavoro fotografico di grande successo, “The Afronauts” (2012), mettendo insieme realtà e finzione, documenti autentici e falsi, materiali di archivio e bizzarre ricostruzioni, utilizzando un registro surreale, forse l’unico in grado di raccontare il sogno utopico di un continente che, pur tecnologicamente arretrato, condivide gli stessi sogni con il resto del mondo. Alcune immagini richiamano l’iconografia spaziale che ci è familiare, con la bandiera, le orme sul suolo lunare, l’alieno su un lettino da laboratorio, cercando di tradurla nello “spirito” africano.

Cristina de Middel recupera un fatto vero, dimenticato dalla storia, per creare un’opera di finzione fotografica. Immaginando che la spedizione abbia effettivamente avuto luogo, realizza delle fotografie che mettono in scena situazioni, personaggi, scenografie e costumi. Abituata, per il suo mestiere di fotogiornalista, a riflettere e a porre in relazione l’immagine con la verità, la De Middel costruisce una fiction basata su fatti reali, esplorando con audacia e poesia il confine tra mito e realtà, rompendo le regole della veridicità per spingere il pubblico ad analizzare i modelli delle storie che generalmente considera reali. Vediamo tute spaziali combinate a costumi etnici dai colori sgargianti, dettagli folcloristici, elefanti e improbabili velivoli spaziali, immersi in un’atmosfera irreale, capace tuttavia di dare un’immagine visiva a quel concetto difficile ed evanescente che è l’utopia, il sogno impossibile.

Così dichiara l’autrice in una intervista: «Cominciai a cercare storie vere alle quali le persone non credono e storie false che invece erano credute. Giocare con la realtà dà una dimensione completamente diversa dell’idea della fotografia come documento. Di solito la foto viene intesa come vera: non diamo come presupposto che sia manipolata, soprattutto se appare in un giornale. Un giorno mi imbattei in un’intervista su YouTube con Edward Makuka Nkoloso, capo del breve programma spaziale dello Zambia nel 1960. Non potevo credere che fosse vero – allora capii di essere in una situazione creativa. […] Trovai un posto alla periferia di Madrid. Avevo bisogno di un luogo che la gente potesse associare con l’Africa. La discarica era visivamente attraente e mi ha aiutato a giocare con l’idea sbagliata che l’Africa è piena di discariche. Sono riuscita a trovare una modella con i capelli afro – non importa che fosse in realtà brasiliana. E sono stata fortunata con i costumi: un amico stava lavorando a un film spagnolo chiamato The Cosmonaut e ho potuto prendere a prestito una vera e propria tuta spaziale russa. Poiché c’è pochissima documentazione su questo periodo storico dello Zambia, ho dovuto scegliere come raccontare la storia. Ho usato album di foto di famiglia dal 1960 come riferimento visivo. Le immagini sono tutte quadrate e desaturate, con un tono rosato. Alcune delle immagini che hanno caratterizzato The Afronauts erano in realtà vecchi scatti presi in viaggi negli Stati Uniti e in Italia. Questo è il bello della messa in scena: si può giocare con le immagini e anche riciclare quelle vecchie. Il punto che volevo far emergere non era il fatto che il progetto fallì perché era il lavoro di un povero Paese africano, ma che Nkoloso aveva provato e creduto che fosse possibile. Non sarebbe mai accaduto in Europa: la gente avrebbe detto che non c’era nemmeno motivo di provarci. Ma è successo in Africa, perché li c’è un diverso atteggiamento – ed è bello».

Il progetto, che sfida i pregiudizi e riflette sui sogni comuni, ha dato vita a un libro autoprodotto in tiratura limitata, che Ubicuo Studio ha reso protagonista di un’app per iPad e iPhone.

L’autrice
Cristina De Middel (Spagna, 1975) è una fotogiornalista che vive a Londra. Collabora da oltre 8 anni con numerosi quotidiani in Spagna e ONG quali Medici Senza Frontiere e la Croce Rossa spagnola. Alle sue opere di stampo prettamente documentaristico, esposte in occasione di mostre e premiate in varie occasioni (tra cui i Sony World Photography Awards, PhotoFolio Arles 2012 e il Deutsche Börse Photography Prize), affianca una produzione più personale. Gli scatti di questo tipo richiedono deliberatamente al pubblico di mettere in discussione il linguaggio e la veridicità della fotografia come documento e giocano con ricostruzioni o archetipi che attenuano i confini tra realtà e finzione.