Artista concettuale, studioso del medium fotografico a 360 gradi, Ruff indaga la realtà e le applicazioni in cui la fotografia come rappresentazione è coinvolta: dallo spazio cosmico ai ritratti, dai palazzi alla riproduzione di curve matematiche. Classifica, archivia, espone e connette immettendo scarti sensibili nell’uso sociale della fotografia, attraverso readymade, appropriandosi e sviluppando nuovi registri artistici, che creano germi per indagini future.

Allievo dei coniugi Becher, assieme a Gursky, Hütter, Struth e Höfer, è come loro uno degli esponenti maggiori della fotografia concettuale tedesca.

Ha iniziato con serie di ritratti in stile oggettivo: volti da cui non traspare alcuna partecipazione emotiva o alcun rapporto tra fotografo e soggetto. Li scatta dal 1981 al 1985: 60 ritratti in bianco nero, piccolo formato di colleghi e amici su sfondo monocromo, dichiarando di ispirarsi all’attività di archiviazione e alle tecnologie di sorveglianza della polizia degli anni 70, cui reagisce portandola alle estreme conseguenze. Passa al colore negli anni successivi. In queste serie la fotografia funziona come mera rappresentazione della superficie: i ritratti (prima in formato piccolo per motivi finanziari, poi molto grande) somigliano a mere fototessere, senza interventi particolari di ombre a scopo di penetrazione psicologica. Negazione della soggettività e appiattimento dell’immagine: il volto diventa una mera testimonianza della funzione del ritratto dal punto di vista fotografico.

«Non credo – spiega Ruff – che i miei ritratti possano rappresentare personaggi reali. Io non sono interessato a produrre una copia della mia interpretazione di un soggetto. È più la mia personale idea di fotografia che si accentua nei miei ritratti. Credo che la fotografia possa riprodurre solo la superficie delle cose. Lo stesso vale per un ritratto. Riprendo immagini di persone allo stesso modo di un busto di gesso. Non credo nella fotografia di ritratto psicologizzante che fanno i miei colleghi, cercando di catturare il personaggio con un sacco di luci e ombre. Questo metodo per me è assolutamente inaccettabile. Posso mostrare solo la superficie. Qualunque cosa vada oltre è quasi un azzardo». Ruff utilizza la sua tecnica di ripresa come una maschera, con la finalità di cancellare, in modo letterale, la personalità del soggetto.

La serialità di tradizione becheriana viene raccolta nel progetto “Häuser”, tra il 1987 e il 1991: a essere ritratte sono costruzioni, spogliate digitalmente da qualsiasi distrazione, espressione ideologica della Germania dell’Est. Afferma in un’intervista rilasciata a Flash Art: «Di norma cercavo edifici “normali”, edifici in cui era cresciuta la mia generazione. Principalmente architettura del Dopoguerra, veloce ed economica, realizzata negli anni Sessanta e Settanta. Erano collegate all’architettura della Bauhaus, ma erano cattive imitazioni di quell’idea, e persino brutte. Volevo mostrare l’errata interpretazione di un’idea visionaria».

Nel 1999 realizza il progetto “l.m.v.d.r” (dal nome dell’architetto) fotografando costruzioni di Miles Van Der Rohes, commissione offerta a Ruff in occasione del rinnovo di due costruzioni a Krefeld (Germania). Lo spirito di catalogazione si sposta poi alla realtà esterna, fluttuando nello spazio cosmico, quando seleziona, cataloga e archivia immagini (600 negativi) recuperate dal telescopio dell’European Southern Observatory nelle Ande in Cile, specificando data ora luogo di ripresa. Selezionate e ingrandite, vengono raccolte nel progetto “Sterne”. Lo spazio ritorna come soggetto di indagine, classificazione e alterazione, in “Cassini” e “ma.r.s.” dove usa immagini prese dalla Nasa di Saturno e Marte. Immagini alterate digitalmente con l’aggiunta di colori saturi, esposte in grande formato.

Dal 1992 al 1996, durante la guerra del Golfo, con i progetti “Nächte” e “Stereoscopy”, riproduce immagini notturne di palazzi usando la tecnologia a raggi infrarossi usata dai militari nella Guerra del Golfo. I media diventano invece l’oggetto di due progetti: “Zeitungsphotos”, dove recupera e rifila immagini da giornali estrapolando il senso, privandole di indicazioni (viene eliminata la parte scritta); e “press++”, in cui usa un procedimento simile con le immagini prese da quotidiani americani comprati su ebay.

Si avvicina al corpo con lo stesso approccio mostrato nei ritratti: la pornografia è il registro migliore per fuggire da coinvolgimenti emotivi. Con “Nudes” scarica immagini con forte connotazioni sessuali da internet, le processa (senza utilizzo di fotocamera) aumentando la dimensione del pixel, esibendo le immagini in grande formato. Stessa tecnica usata per “Jpegs”, dove crea un compendio di immagini digitali scaricate dalla rete, agendo sulla dimensione del pixel e saturandole: immagini idilliache di panorami naturali, scene di guerra, natura disturbata da manipolazioni umane, le relazioni create disegnano un enciclopedico scenario di cultura visuale contemporanea. In “Zycles” usa il rendering 3d per riprodurre curve matematiche tratte da pubblicazioni del XIX secolo sull’elettromagnetismo; in “Fotogramme” si ispira alle creazioni in camera oscura di Man Ray e László Moholy-Nagy, utilizzando per la produzione una camera oscura virtuale costruita da un programma software.

Thomas Ruff – from Dusseldorf to Stars

[Il Baretto concettualizza]La Whitechapel Gallery di Londra annuncia la più grande retrospettiva del fotografo Thomas Ruff:Thomas Ruff: Photographs 1979-2017 / 27 September 2017- 21 January 2018–>https://goo.gl/QsNL8BArtista concettuale, studioso del medium fotografico a a 360 gradi, Ruff indaga la realtà e le applicazioni in cui la fotografia come rappresentazione è coinvolta: dallo spazio cosmico ai ritratti, dai palazzi alla riproduzione di curve matematiche. Classifica, archivia, espone e connette immettendo scarti sensibili nell’uso sociale della fotografia, attraverso readymade, appropriandosi e sviluppando nuovi registri artistici, che creano germi per indagini future.Allievo dei coniugi Becher, assieme a Gursky, Hütter, Struth e Höfer, è come loro uno degli esponenti maggiori della fotografia concettuale tedesca.Ha iniziato con serie di ritratti in stile oggettivo: volti da cui non traspare alcuna partecipazione emotiva o alcun rapporto tra fotografo e soggetto. Li scatta dal 1981 al 1985: 60 ritratti in bianco nero, piccolo formato di colleghi e amici su sfondo monocromo, dichiarando di ispirarsi all’attività di archiviazione e alle tecnologie di sorveglianza della polizia degli anni 70, cui reagisce portandola alle estreme conseguenze. Passa al colore negli anni successivi. In queste serie la fotografia funziona come mera rappresentazione della superficie: i ritratti (prima in formato piccolo per motivi finanziari, poi molto grande) somigliano a mere fototessere, senza interventi particolari di ombre a scopo di penetrazione psicologica. Negazione della soggettività e appiattimento dell’immagine: il volto diventa una mera testimonianza della funzione del ritratto dal punto di vista fotografico.«Non credo – spiega Ruff – che i miei ritratti possano rappresentare personaggi reali. Io non sono interessato a produrre una copia della mia interpretazione di un soggetto. È più la mia personale idea di fotografia che si accentua nei miei ritratti. Credo che la fotografia possa riprodurre solo la superficie delle cose. Lo stesso vale per un ritratto. Riprendo immagini di persone allo stesso modo di un busto di gesso. Non credo nella fotografia di ritratto psicologizzante che fanno i miei colleghi, cercando di catturare il personaggio con un sacco di luci e ombre. Questo metodo per me è assolutamente inaccettabile. Posso mostrare solo la superficie. Qualunque cosa vada oltre è quasi un azzardo». Ruff utilizza la sua tecnica di ripresa come una maschera, con la finalità di cancellare, in modo letterale, la personalità del soggetto.La serialità di tradizione becheriana viene raccolta nel progetto “Häuser”, tra il 1987 e il 1991: a essere ritratte sono costruzioni, spogliate digitalmente da qualsiasi distrazione, espressione ideologica della Germania dell’Est. Afferma in un’intervista rilasciata a Flash Art: «Di norma cercavo edifici “normali”, edifici in cui era cresciuta la mia generazione. Principalmente architettura del Dopoguerra, veloce ed economica, realizzata negli anni Sessanta e Settanta. Erano collegate all’architettura della Bauhaus, ma erano cattive imitazioni di quell’idea, e persino brutte. Volevo mostrare l’errata interpretazione di un’idea visionaria».Nel 1999 realizza il progetto “l.m.v.d.r” (dal nome dell’architetto) fotografando costruzioni di Miles Van Der Rohes, commissione offerta a Ruff in occasione del rinnovo di due costruzioni a Krefeld (Germania). Lo spirito di catalogazione si sposta poi alla realtà esterna, fluttuando nello spazio cosmico, quando seleziona, cataloga e archivia immagini (600 negativi) recuperate dal telescopio dell’European Southern Observatory nelle Ande in Cile, specificando data ora luogo di ripresa. Selezionate e ingrandite, vengono raccolte nel progetto “Sterne”. Lo spazio ritorna come soggetto di indagine, classificazione e alterazione, in “Cassini” e “ma.r.s.” dove usa immagini prese dalla Nasa di Saturno e Marte. Immagini alterate digitalmente con l’aggiunta di colori saturi, esposte in grande formato.Dal 1992 al 1996, durante la guerra del Golfo, con i progetti “Nächte" e “Stereoscopy”, riproduce immagini notturne di palazzi usando la tecnologia a raggi infrarossi usata dai militari nella Guerra del Golfo. I media e diventano invece l’oggetto di due progetti: “Zeitungsphotos”, dove recupera e rifila immagini da giornali estrapolando il senso, privandole di indicazioni (viene eliminata la parte scritta); e “press++”, in cui usa un procedimento simile con le immagini prese da quotidiani americani comprati su ebay.Si avvicina al corpo con lo stesso approccio mostrato nei ritratti: la pornografia è il registro migliore per fuggire da coinvolgimenti emotivi. Con “Nudes” scarica immagini con forte connotazioni sessuali da internet, le processa (senza utilizzo di fotocamera) aumentando la dimensione del pixel, esibendole le immagini in grande formato. Stessa tecnica usata per “Jpegs”, dove crea un compendio di immagini digitali scaricate dalla rete, agendo sulla dimensione del pixel e saturandole: immagini idilliache di panorami naturali, scene di guerra, natura disturbata da manipolazioni umane, le relazioni create disegnano un enciclopedico scenario di cultura visuale contemporanea. In “Zycles” usa il rendering 3d per riprodurre curve matematiche tratte da pubblicazioni del XIX secolo sull’elettromagnetismo; in “Fotogramme” si ispira alle creazioni in camera oscura di Man Ray e László Moholy-Nagy, utilizzando per la produzione una camera oscura virtuale costruita da un programma software.Queste solo alcune delle sue opere; per saperne di più non resta che prenotare il viaggio per Londra.

Pubblicato da Baretto Beltrade su Martedì 29 agosto 2017