L’Accademia del Silenzio, in collaborazione con Photographers.it, ha lanciato una call fotografica dal titolo Silenzi Urbani. Il Baretto incuriosito ha scoperto di possedere un libro dal titolo “Le Fotografie del Silenzio” scritto da Gigliola Foschi ed edito dalla stessa Accademia del Silenzio: 52 pagine, divise in 3 capitoli per un costo di 4.90 euro.

Ma cos’è la fotografia del Silenzio?

Secondo l’Accademia è una visione altra e silenziosa, immagini che scardinano il circuito informativo da cui siamo travolti, che fermano lo sguardo dell’osservatore, un ombrello che si apre sotto la pioggia di urla e giudizi contrastanti. Una processo di sospensione che Georges Didi-Huberman spiega così: «Mutismo provvisorio davanti a un oggetto visivo che vi lascia disorientati, privi della capacità di dargli senso, forse persino di descriverlo; [tale sospensione] imporrà quindi la costruzione di questo silenzio in un lavoro del linguaggio capace di operare una critica dei propri cliché».

Tra gli autori citati ecco Merleau-Ponty, che scriveva: «Più volte, in una foresta, ho sentito che non ero io a guardare la foresta. Ho sentito certi giorni che erano gli alberi che mi guardavano, che mi parlavano… Io ero là, in ascolto… Credo che il pittore debba lasciarsi penetrare dall’universo e non volerlo penetrare…». La fotografia del silenzio è un’attitudine di immersione nello spazio, è il fotografo che rappresenta se stesso nello spazio che insieme ritrae. Non a caso viene citato il lavoro sui confini (limine) di Guido Guidi. O le fotografie di Jitka Hanzlova della serie Forest: fotografando la foresta, nei suoi ritratti verticali si immerge in una sorta di panteismo della coscienza arborea.

Altri  fotografi vengono presentati come emblematici di questa modalità sospesa di rappresentazione della realtà: uno è Walter Niedermayr, artista sud-tirolese, nei suoi Monti Pallidi (Die bleichen Berge), mostra la natura delle Dolomiti in transito tra memoria e realtà. Immagini prese dall’alto schiacciate dall’assenza di prospettiva, stazioni sciistiche con presenza umane, sciatori come insetti gentili, grumi desaturati attaccati al paesaggio senza mai realmente toccarlo. Natura come presenza malinconica e lontana, vuoto silenzioso tra eternità e manufatti umani che la frequentano senza mai entrare veramente in contatto, senza mai scalfirla anche quando la deturpano. Altro fotografo citato è Taysir Batniji, palestinese, che dopo l’attacco israeliano a Gaza del 2008-2009 crea la serie “GH0809”. Ritratti di abitazioni distrutte dai bombardamenti in primo piano sotto un tranquillo cielo azzurro: accanto ad ogni foto una didascalia da agenzia immobiliare che ne descrive la metratura e i vani. L’effetto è straniante, non ci sono urla o movimenti che registrano il dramma in corso, solo un sommesso silenzio: case come sguardi che domandano all’osservatore tradito dalla mancanza di occhi che si ferma a riflettere: «L’opera stessa modifica silenziosamente la ricezione di chi guarda… L’efficacia di un dissenso che si traduce in una tensione e in una contraddizione interna all’opera stessa e ai linguaggi che essa adotta».

«La fotografia del silenzio – conclude Gigliola Foschi – non è quella che si limita a fotografare luoghi silenziosi o affascinanti, ma quella che sa creare uno spazio di silenzio dentro di sé, un intervallo dissonante che ferma, almeno per un attimo i nostri pensieri abituali per aprirli verso un altrove».