Cosa succede quando un fiume di immagini travolge lo spettatore, rendendolo completamente indifferente per ripetizione seriale agli stimoli a cui è sottoposto?

L’artista cileno Alfredo Jaar risponde con l’installazione Lament of the Images, esposta a Documenta nel 2002: creando un percorso performativo per l’osservatore composto da installazioni disposte in tre stanze.

Nella prima stanza tre pannelli neri con scritte bianche, raccontano tre storie.
– Cape Town: Nelson Mandela viene imprigionato per 28 anni nel carcere di massima sicurezza sull’isola sei miglia distante da Cape Town. Nell’estate del 1964 assieme ad altri detenuti viene costretto ai lavori forzati, scavando calcio da utilizzare per imbiancare le strade dell’isola. Alla fine della giornata sono ricoperti di polvere bianca, il sole riflette sul bianco del calcio accecando gli scavatori, la richiesta di occhiali neri di protezione viene negata. L’11 febbraio del 1990, quando viene liberato, le foto riportano le immagini di un uomo con la mano alzata a protezione dal sole accecante. Il riflesso della luce accecante sulla polvere di calcio – dirà – ha inibito la produzione di lacrime.
– Pennsylvania: Il 15 aprile 2001, appare la notizia che circa 17 milioni di fotografie stanno per essere bruciate in una miniera di calcio abbandonata. Le immagini appartenevano al Betmann and United Press International archive, acquistate dalla Microsoft di Bill Gates, che provvederà a scannerizzarle e renderle disponibili alla vendita. In 6 anni solo il 2% delle immagini sono state scannerizzate, ce ne vorranno circa 465 di anni per terminare il processo. Altri acquisti del genere sono stati fatti da Bill Gates: si stima che il chairman possieda il diritto di mostrare o bruciare circa 65 milioni di immagini.
– Kabul: il 7 Ottobre 2001, gli Stati Uniti lanciano un attacco aereo missilistico su Kabul. Il Presidente Bush, descrive l’attacco come “carefully targeted”. Prima di lanciare l’attacco la U.S. Defense stipula un contratto per comprare tutti i diritti delle immagini prodotte dai satelliti sull’Afghanistan e paesi vicini. L’accordo produce un effettivo “white out” impedendo alle media agency mondiali di recuperare informazioni visive dell’accaduto.

La seconda stanza si trasforma in un labirinto, un corridoio buio da percorrere per giungere alla terza stanza dove una luce bianca e potente investe l’osservatore. “Let there be light“, la drammatica (nel senso che agisce e colpisce con forza lo spettatore) testimonianza di un’assenza. È questa che travolge l’osservatore, divenendo dolore acuto, insopportabile visione.

Il titolo Lament of the Images si riferisce al titolo di un poema dell’autore nigeriano Ben Okri, in cui le maschere e le icone rituali vengono bruciate e quindi private del loro potere. Lo schermo accecante, benché vuoto, lamenta la perdita delle immagini, piange la loro distruzione e assenza e, in tal modo, finisce per creare una nuova immagine, fatta di luce che acceca la vista, la quale diventa altresì metafora del flusso continuo di immagini, altrettanto accecante, che bombarda ogni giorno la società contemporanea, impedendole di percepirle e comprenderle in modo adeguato.

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Alfredo Jaar nasce in Cile nel 1956, studia e lavora prima di trasferirsi a New York nel contesto politico della dittatura militare di Pinochet.Le sue istallazioni contestualizzano la realizzazione artistica nella realtà sociale e politica, indirizzando l’attenzione dello spettatore su situazioni di urgenze umanitarie, oppressione politica emarginazione sociale. Situazioni in cui l’attenzione dei media confonde invece che informare, distogliendo e filtrando il messaggio con la ripetizione retorica di contenuti. Un flusso di informazioni che deve essere dunque disconnesso attraverso la frammentazione del processo di acquisizione delle immagini e della narrazione, usando differenti media dalla fotografia, alla scultura ai filmati allo spazio usato come percorso performativo di riflessione per l’osservatore, per tematizzare “l’impossibilità di vedere la realtà  al di fuori dei media”, l’indisponibilità delle immagini, il loro sequestro e la loro completa gestione da parte dei poteri pubblici e privati.

Un’Antologica delle sue istallazioni è stata esposta nell’Ottobre del 2008 all’Hangar Bicocca di Milano, curata da Gabi Scardi and Bartolomeo Pietromarchi dal titolo: It’s Difficult.

Il sito di Alfredo Jaar

Qui sotto il filmato dell’installazione.