All’eta’ di 18 anni Mike Brodie (Arizona 1985) ha la sua prima esperienza di train hopping da Pensacola a Jacksonville, Florida, e ritorno. Comincia lì la sua passione per il viaggio on the road, seguendo percorsi non consueti, approfittando dei mezzi di locomozione recuperati senza biglietto.

Il termine train hopping significa letteralmente “saltare sul treno” ed è quello che fa la subcultura Hobos composta da giovani (ma anche da homeless adulti) per spostarsi clandestinamente usando treni merci lungo gli Stati Uniti.
Una tradizione che ha radici nella storia americana: il termine Hobos nasce nel lontano 1860 allla fine della Guerra di Secessione, quando veterani si servivano dei treni per tornarsene a casa. Pratica successivamente ripresa da coloro che lasciavano le case in cerca di fortuna e lavoro seguendo il mito della frontiera americana, usando la fitta rete di comunicazione a rotaia per spostarsi senza costi di viaggio.

L’avventura e il viaggio accompagnano Mike che dal 2003 copre più di 50.000 miglia visitando 46 Stati usando 170 differenti linee.
Inizia a fotografare dal 2004 quando trova casualmente una polaroid nel sacco di viaggio di un compagno. Pubblica le immagini sul web diventando popolare e noto come “Polaroid Kid”, fino a quando la pellicola SX-70 diventa introvabile. Allora inizia a usare pellicole da 35 mm con una Nikon F3.
Il cambio di formato gli permette di avere maggiore libertà di stile: «Polaroid format required complete stillness, absolutely no movement to render a decent image. It could get frustrating at times and I would sweat, literally. The 35mm format let me shoot more candidly and truly capture real moments, not staged portraits».

Nel 2008, Mike Brodie riceve il Baum Award for American Emerging Artists

Le immagini dal 2006 al 2009 vengono raccolte in un photo project intitolato “A Period of Juvenile Prosperity.” e pubblicate il primo marzo del 2013 da Twin Palms Publishers e TBW Books, con due contemporanee esibizioni in gallerie d’arte rispettivamente a New York e Los Angeles.

Mike racconta, in un’intervista al New Yorker, che non ha mai pensato di diventare artista: si è interessato alla fotografia come strumento di riproduzione della realtà rifacendosi alla classica fotografia americana, cita Mc Curry e i ritratti del Nat Geo.
Inizia a fotografare quello che gli sta intorno viaggiando. Appassionato di treni, frequenta le sottoculture che usano questo mezzo per spostarsi, seguendo un’esistenza vagabonda, sospesa in uno spazio parallelo dove il lavoro diventa un’identità lontana e la sopravvivenza in termini di cibo e di riparo dalle intemperie la necessità primaria.
Il bisogno di spostarsi, di non stare nello stesso luogo, diventa un’esigenza oltre che esistenziale anche pratica: nelle piccole città hobos-vagabondi, sporchi con vestiti stracciati non sono accettati di buon grado e spesso sono vessati dalle autorità locali: «Three days max and I was gone, after that I would get restless and would have to move on».

Ma chi sono le persone fotografate ? Mike risponde semplicemente: «Corey, Blake, Shannon, Henry, Patrick, Rocket, Soup, Lulu, Brandy, Vanessa, Savannah, Harrison, Alexis, Oliver, Lost, Trinity»; nel libro ci sono tre sue ex fidanzate e il resto sono amici compagni di viaggio o semplicemente persone con cui ha condiviso un tratto di strada ferrata.
Gli interessano le storie e i racconti: «I love stories of men and women who came from nothing and accomplished great things». Nessuno dei soggetti, scrive, si è sentito disturbato dalla fotocamera, perché c’era sempre una forma di rispetto per la passione che lo coinvolgeva.

Il fotografo Alec Soth, scrivendo su The Telegraph, include “A Period of Juvenile Prosperity” nella top ten dei migliori photobooks del 2013: «I really wanted to dislike this book, but I was completely won over by the pictures, design».

Non ci sono propositi concettuali, riflessioni sulla fotografia e sullo stato dell’arte contemporanea nel libro di Mike: solo frames di vita, mani sporche, vestiti stracciati, spalle, occhi chiusi, tatuaggi, piercing, capelli al vento, sangue mestruale, stivali e polvere. Il movimento e il viaggio respirano dalle inquadrature sghembe con lo stessa modalità con cui gli Hobos saltano sui treni in corsa. Ma anche ritratti dove occhi spanati e guance sporche osservano con sfida la società ordinaria delle otto ore lavorative. Sono per la maggior parte giovani i soggetti ritratti, questa è parte della forza del libro e anche la storia dell’autore.

A Period of Juvenile Prosperity: il titolo stesso circoscrive e rende in qualche modo epico il contenuto delle immagini. La giovinezza libera da regole e confini, l’esplorazione della frontiera Americana quando diventa territorio di sperimentazione interiore a mappare la relazione con la società adulta e stanziale, l’on the road descritto da Kerouac e il sonnolento abbandonarsi al flusso dell’evento e degli incontri.

Poi i treni smettono di correre, il tempo passa e ora Mike, dopo essersi diplomato in meccanica, lavora in un’autofficina a Oakland tra i motori. Ha lasciato la fotografia, ma scrive che gli piacciono le auto, che possono parlare molto delle persone che le posseggono, forse inizierà proprio da li a raccontare di nuovo.