Alla Westlicht Gallery di Vienna (una ex vetreria diventata museo storico di vecchie e preziose macchine fotografiche e grande spazio espositivo) sono esposti fino a fine luglio sessanta dei seicento ritratti tratti dall’opera epica di August Sander Menschen des 20 Jahrhunderts (Ritratti del Ventesimo secolo). Tutti conoscono la storia di questa impresa tassonomica con cui l’autore volle rappresentare la società tedesca degli anni Venti e Trenta. L’opera è suddivisa in Contadini, Artigiani, Donne, Classi e professioni, Artisti, Città e Reietti. Per ognuna di queste categorie sono ripresi, in una posa colta nella naturalezza del momento, i singoli individui, caratterizzati dagli oggetti del mestiere o dall’abito.

L’intento non è politico ma documentale: una parte per il tutto, l’individuo come archetipo della classe sociale che rappresenta. Ci pensa la Storia a trasformare la tassonomia in rivolta: è con l’avvento del nazismo, dopo che il figlio di Sander viene imprigionato e ucciso perché membro del Partito Comunista, che la rassegna dei personaggi sanderiani viene censurata e colpita. La teologia della razza ariana non concepisce disoccupati, artisti circensi, abitanti di case temporanee, povertà e drop out. L’occhio di Sander invece non discrimina, anzi affonda la lente leggendo tra le pieghe degli abiti, sulle rughe delle mani l’identità sociale, anche se le persone importanti (scrittori, imprenditori) hanno diritto a nome e cognome nella didascalia, mentre gli uomini del popolo sono indicati solo per il loro mestiere: i primi sono individui, i secondi “tipi sociali”? O semplicemente un tributo negato all’oblio di chi può permetterselo.

Si scrutano gli sguardi, gli abiti, la posizione delle mani in posa. Le inquadrature sono frontali, ma non seriali: piano americano, ma anche ritratti ambientati a figura intera soprattutto per contadini, disoccupati, mentre per professionisti e nobili esiste la posa in studio. Le opere non esposte scorrono proiettate sullo schermo a completare l’istallazione.