Vengono prodotte/selezionate un certo numero di fotografie in modo coerente a una esposizione pubblica, cioè come se si dovesse fare una mostra.
Le fotografie vengono stampate in formato cartolina affrancabile, ogni foto della mostra in 10 copie
Le fotografie/cartoline vengono affrancate e dall’elenco telefonico vengono presi un numero di indirizzi a caso uguale al numero delle cartoline stampate.
Sul retro della cartolina viene scritto a mano il seguente testo (o uno concettualmente simile):

«
Ciao, sono xxx (nome degli organizzatori). Questa fotografia che fa parte della mostra xxx (nome della mostra). È tua. Puoi farne quello che vuoi, ma se ti piace l’idea vorremmo che la appendessi per qualche giorno in casa tua, ad esempio in cucina o dove sta meglio. Altre foto della mostra sono arrivate ad altre persone di xxx (città in cui sono state inviate). Non conosciamo nessuno di voi, e non vi conoscete tra di voi: abbiamo scelto a caso i vostri indirizzi. Ma se ognuno appenderà la sua foto, per qualche giorno ci sarà a xxx una mostra diffusa nelle vostre case e ognuno di voi potrà guardarne un pezzetto soltanto suo. Se vuoi, una volta appesa, puoi fotografarla e spedire la tua foto a xxxx (indirizzo email degli organizzatori). La metteremo sul sito xxx assieme a tutte quelle che vi abbiamo spedito e che saranno tornate.
Ciao e buona giornata.
»

Una volta scritte, le cartoline vengono disposte su un grande tavolo e vengono fotografate, assieme e separatamente.
Queste foto delle cartoline vengono caricate in un’area dedicata del sito xxx, che si chiama “Cartoline agli sconosciuti”, assieme allo statement del progetto. Poi le cartoline vengono spedite e gli organizzatori aspettano. Magari qualche foto ritorna, e viene caricata nell’area del sito, assieme a quelle delle cartoline. Nel frattempo il progetto viene pubblicizzato.

FINE

Statement

Questo progetto coinvolge l’idea di mostra e spazio espositivo.
Una mostra fotografica avviene di solito in uno spazio prestabilito. Che cosa presuppone?
1) La collezione di più oggetti omogenei, ma tutti più o meno diversi uno dall’altro.
2) Che tale collezione è riunita nello stesso tempo e nello stesso spazio.
3) Che tale spazio ha una destinazione pubblica.
4) Che la collezione di oggetti esprime, racconta o documenta qualcosa d’altro, di esterno a quello spazio.
5) Che un certo numero ristretto di autori e collaboratori ha partecipato, convergendo nelle intenzioni, alla preparazione e allestimento della mostra.

Il progetto “Cartoline agli sconosciuti” mette in discussione tutto questo apparato.
1) La collezione di oggetti non è omogenea: accanto alle foto originarie, scattate da un autore, compaiono anche le stesse immagini all’interno di altre fotografie scattate da autori non solo diversi, ma che non condividono nessuna intenzione o progettualità o istanza espressiva.
2) Vi è una rottura dell’unità di spazio e tempo. Le fotografie della mostra vengono decontestualizzate dal loro spazio di destinazione (la mostra), isolate e collocate in altri spazi, dove acquistano un altro significato. Lo spazio espositivo è ibrido, pubblico e privato. Le fotografie “che tornano a casa” testimoniano che quella mostra non è solo lì, in quello spazio e tempo, ma contemporaneamente avviene, anche se frammentata, in altri spazi e tempi, in un contesto di fruizione dell’immagine privato
3) Ma il contesto di fruizione di un’immagine, a pensarci bene, è quasi sempre privato. Ognuno di noi guarda centinaia di immagini ogni giorno privatamente sul proprio cellulare o televisore o sui libri, quotidiani e riviste che gli capitano sotto mano. In questo caso, non solo viene privatizzato uno spazio pubblico, ma viene reso pubblico uno spazio privato.

Oggi la fotografia è praticata innanzitutto come medium relazionale. Ognuno di noi espone le proprie foto private all’interno di contesti pubblici come le bacheche social in un tempo istantaneo, condivise nel momento stesso in cui sono scattate. Non le vedono solo familiari e amici. Per i meccanismi insiti nei social, le vedono anche gente estranea e sconosciuta, spesso con il concorso di dinamiche del tutto casuali. Ma tutto si ferma a quella visione privata e passiva, senza che si inneschi, se non raramente, una relazione. Ripensare questa relazione basata sulla condivisione casuale di immagini tra sconosciuti è senza dubbio attuale e stimolante. In questo progetto la visione della foto inviata da sconosciuti non si fermi lì, ma entri in un’altra forma di relazione, più attiva, diversa da quella dei social.

La fotografia è qui utilizzata come tramite di una relazione, anche imprevedibile e segreta agli stessi che mette in relazione, con cui costruisce un legame empatico del tutto effimero e precario, in-visibile, ma reale. Il nostro modo consueto di mostrare e mostrarci attraverso le fotografie, che tutti facciamo con la rete, è piegato a un senso più intimo e “cieco” e perciò più sottile. Regredire a uno stadio precedente di questo mostrarci collettivo (la posta, il museo) è utile per parlare del contemporaneo. Evidenziandone la natura, le possibilità e le lacune.

Per questo gli organizzatori del progetto dovranno riflettere su come far entrare anche la prima fase (le foto iniziali) nel processo. Unendo anche un elemento performativo, le foto iniziali potrebbero essere ritratti degli stessi organizzatori, poi ri-fotografate dai destinatari come ospiti-in-foto nelle loro case e poi esposte online come tali.