Walter Benjamin, nel suo celebre “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, scriveva: «Non è forse vero che ogni punto delle nostre città è il luogo di un delitto? Che ogni passante è un delinquente? E il fotografo – successore degli auguri e degli aruspici – con le sue immagini, non è forse chiamato a rivelare la colpa e indicare il colpevole?». Ogni punto della Terra è pertanto, in potenza, la scena di un evento criminoso possibile. Compito del fotografo è quello di riprenderla per provarlo, perché la fotografia preleva una traccia, ritaglia un frammento, lo amplifica, lo rende visibile allo sguardo di tutti. Ma poi può connettere i frammenti e dimostrare, fuorviare, manipolare o dimostrare.

Il progetto “Tutti colpevoli” agisce ritagliando immagini prese su Google Street View e individuando frammenti particolarmente significativi in grado di innescare possibili narrazioni. Per ogni ritaglio, una serie di blow up progressivi si focalizza su un particolare. Come in “Blow up” di Antonioni, si cercano possibili indizi di crimini immaginari, o fotogrammi il cui ingrandimento evidenzia gli elementi misteriosi, in grado di evocare intrecci o di far intuire possibili accadimenti avvenuti, che nel corso delle varie sequenze vengono in qualche modo descritti anche attraverso altri elementi di supporto (testi, ritagli di giornale, materiale documentale vario reale o creato ad hoc).

Le immagini continue di Street view sono riprese senza troppi filtri apparenti (a parte l’oscuramento effettuato, in postproduzione, delle targhe, dei volti e di altri elementi che porterebbero a una violazione della privacy). Nel momento in cui si va a zoomare e ad ingrandire i dettagli, invece, ci si può rendere conto che i particolari più importanti sono quelli sfuggiti all’operatore o ripresi dalla macchina in modo del tutto automatico e impersonale, frutto del caso, o meglio della “capacità di vedere” della fotocamera. La fotografia frammenta la continuità temporale, imbalsamando l’istante e rendendolo accessibile a sguardi futuri. Proprio grazie a questa funzione “congelante” della fotografia, il fruitore può disporre sotto i suoi occhi le immagini della realtà ripresa in giro per il mondo e ridurla a oggetto di indagine minuziosa.

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L’uso di Google street view sul terreno della fotografia concettuale non è nuovo, anzi è quasi una moda. Ma non si deve pensare di usare quel giacimento di immagini per ricavarne qualcosa di “bello” o decorativo perché la gcar non è un fotografo. Si può provare a usarlo per fare un discorso sugli usi non artistici della fotografia, in questo caso il binomio mappatura/sorveglianza, di solito sottaciuto o taciuto del tutto, che invece è portato in primo piano. Questo è fatto giocare con un approccio, anzi un trucco, di tipo narrativo, volto a creare una verità fittizia o palesemente falsa: ecco dunque un altro uso non artistico della fotografia qui tematizzato, quello cronachistico o scandalistico dei paparazzi e dei media.

Di seguito alcuni esempi di materiale utile per costruire le sequenze narrative.